mercoledì 1 ottobre 2014

Comunicato stampa: La libertà religiosa tra Stato e Chiesa (Edizioni Solfanelli)

Esce il libro “La libertà religiosa tra Stato e Chiesa”: un confronto  tra mons. Agostino Marchetto, definito “il miglior ermeneuta del Concilio Vaticano II” e il ricercatore Daniele Trabucco. È curato dal bellunese Michelangelo De Donà: “celebriamo i dieci anni dalla visita al Centro Papa Luciani dell'allora card. Ratzinger”.

È disponibile, edito dalle Edizioni Solfanelli di Chieti, il libro “La libertà religiosa tra Stato e Chiesa” curato da Michelangelo De Donà, organizzatore della rassegna culturale “Illustrissimi” del Centro Papa Luciani di Santa Giustina (Belluno), volume che esce proprio nei dieci anni dalla visita dell'allora card. Joseph Ratzinger a Col Cumano.
«Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società.»
Da questo testo, contenuto nel cap. I, n. 2 della dichiarazione “Dignitatis Humanae” firmata da Paolo VI il 7 dicembre 1965, è iniziata la riflessione che il Centro di spiritualità e cultura Papa Luciani di Santa Giustina (Belluno) ha dedicato al tema “La libertà religiosa tra Stato e Chiesa”. Il primo passo è stato quello di proporre un approfondimento pubblico proprio nel centro dedicato a Papa Luciani nell’ambito della rassegna culturale “Illustrissimi”.
Relatori dell’incontro l’arcivescovo S.E.R. Mons. Agostino Marchetto, nunzio apostolico e segretario emerito del Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti, che ha trattato il tema “La libertà religiosa a partire dal Concilio Vaticano II” e il dott. Daniele Trabucco, assegnista di ricerca post-dottorato in Istituzioni di Diritto Pubblico presso l’Università degli Studi di Padova, che si è invece soffermato sulla libertà religiosa e il pluralismo nella Costituzione italiana.
Il secondo passo, ovvero l’idea di pubblicare un agile libro. Nel suo intervento l’arcivescovo Mons. Agostino Marchetto, considerato da Papa Francesco “il migliore ermeneuta del Concilio Vaticano II”, si occupa della libertà religiosa nella dichiarazione “Dignitatis humanae” che distingue tra libertà religiosa e libertà della Chiesa; la prima fondata sulla dignità umana che deve essere riconosciuta ad ogni singola persona in quanto tale mentre la seconda, originaria, fondata invece sulla missione ricevuta da Cristo per la salvezza delle anime, quindi non concessa dallo Stato o derivata da un riconoscimento legale. Al n. 14 di questo documento epocale nella storia della Chiesa si precisa: “Vi è quindi concordia fra la libertà della Chiesa e quella libertà religiosa che deve essere riconosciuta come un diritto a tutte le comunità e che deve essere sancita nell’ordinamento giuridico”.
Nella sua relazione il dott. Daniele Trabucco analizza alcuni articoli della Costituzione italiana vigente, precisamente le disposizioni che sanciscono il principio di non discriminazione su base religiosa (articolo 3), l’indipendenza e la sovranità dello Stato e della Chiesa ciascuno nel proprio ordine (articolo 7), l’uguaglianza di tutte le confessioni di fronte alla legge (articolo 8), la libertà di professare il proprio credo, sia individualmente che collettivamente, di promuoverne la diffusione e di celebrarne il culto in pubblico o in privato a meno che i riti non siano contrari al buon costume (articolo 19) ed infine la proibizione di ogni forma di discriminazione o l’imposizione di speciali oneri fiscali nei confronti di associazioni o istituzioni religiose basate sull’appartenenza confessionale (articolo 20). C’è poi il riferimento anche ad altri articoli che riguardano indirettamente la libertà religiosa oppure che trattano specifici aspetti della stessa; non manca naturalmente il richiamo alla sentenze della Corte costituzionale (come per il tema della presenza di simboli religiosi nei luoghi pubblici).
A conclusione un’appendice per l’agevole consultazione del testo della “Dignitatis Humanae” e di alcuni articoli estratti dalla Costituzione italiana.
Il volume ha la prefazione del prof. don Giuseppe Dal Ferro, direttore dell’Istituto “Rezzara” di Vicenza, e la postfazione del prof. Massimo Introvigne, fondatore del Cesnur di Torino.





Michelangelo De Donà, mons. Agostino Marchetto, Daniele Trabucco

lunedì 29 settembre 2014

Novità: LA LIBERTÀ RELIGIOSA TRA STATO E CHIESA

Agostino Marchetto e Daniele Trabucco
LA LIBERTÀ RELIGIOSA TRA STATO E CHIESA

Atti del Convegno
Santa Giustina (Belluno), 16 maggio 2013

a cura di Michelangelo De Donà



Introduzione di Michelangelo De Donà

Prefazione di Giuseppe Dal Ferro

Agostino Marchetto
LA LIBERTÀ RELIGIOSA A PARTIRE DAL CONCILIO VATICANO II

Lettera di Papa Francesco a mons. Agostino Marchetto

Daniele Trabucco
LIBERTÀ RELIGIOSA E PLURALISMO NELLA COSTITUZIONE ITALIANA

Postfazione di Massimo Introvigne


Appendici

LA DICHIARAZIONE DIGNITATIS HUMANAE

Articoli estratti dalla Costituzione della Repubblica Italiana vigente



Agostino Marchetto e Daniele Trabucco
LA LIBERTÀ RELIGIOSA TRA STATO E CHIESA
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-878-6]
Pagg. 88 - € 9,00

http://www.edizionisolfanelli.it/lalibertareligiosa.htm

lunedì 16 giugno 2014

Recensione: La teoria del gender: per l’uomo o contro l’uomo? (di Gianandrea de Antonellis)

Gender non è il solito anglicismo di moda nel linguaggio corrente per sostituire un termine italiano corrispondente: tale parole non è quindi un altro modo per indicare il sesso, ma è stato imposto per stravolgere la mentalità corrente e superare (se non distruggere) la naturale dicotomia uomo/donna. Infatti il termine fa parte di una ben precisa strategia culturale, come è stato molto ben spiegato dai partecipanti al convegno che si è tenuto lo scorso 21 settembre a Verona, i cui atti sono presentati dalla casa editrice Solfanelli, con un’introduzione del presidente di “Famiglia Domani”, Luigi Coda Nunziante, e del presidente del Movimento Europeo per la Difesa della Vita, Alberto Zelger. Il convegno ha visto anche la partecipazione del sindaco Flavio Tosi e del vescovo Mons. Giuseppe Zenti.
Il primo relatore, Roberto de Mattei, ha ricordato quali sono le tappe storiche dell’evoluzione (o, meglio, dell’involuzione) del pensiero filosofico che hanno portato all’attuale attacco alla famiglia e come il cristianesimo sia intrinsecamente contrario ad una società in cui la retta sessualità sia sostituita dalla genericità del gender.
Il compianto Mario Palmaro ha poi ripercorso l’evolversi degli strumenti legislativi utilizzati dai propugnatori del gender, sottolineando l’importanza di riconoscere certe leggi come “ingiuste” (che non è un paradosso: la legge positiva deve essere giusta, cioè adeguarsi alla legge naturale e non calpestarne i principi) e di non accettarle con la logica del “male minore”, come si fa in certi ambienti politici (demo)cristiani e addirittura ecclesiastici.
Quindi Chiara Atzori, medico, si è soffermata su questioni tecniche, dimostrando come l’omosessualità sia una devianza di tipo psicologico, non una norma di tipo fisico: si nasce uomini o donne a seconda del proprio corredo genetico e non c’è cura ormonale né operazione chirurgica che possa modificare il nostro Dna, che ci incasella fin dal concepimento quali maschi (geni XY) o femmine (geni XX). Ogni altra forma (XXY, sindrome di Kleinefelter, oppure X0, sindrome di Turner) è un’anomalia biologica, peraltro rarissima, oppure è il frutto di patologie psicologiche. Una scientifica e distaccata analisi delle maniere di contrarre l’Aids fa giungere la studiosa alla conclusione che la natura stessa sembra respingere l’omosessualità, punendola per la perversione della sodomia.
La psichiatra Dina Nerozzi ha ripercorso le tappe che, a livello di organizzazioni mondiali (come l’Unesco e l’Oms), hanno spinto verso la “cultura” del gender. La Nerozzi ha individuato nella dichiarazione del presidente americano Harry Truman, all’atto di aderire all’Unesco nel 1946, la cellula primigenia della rivoluzione del gender, quando parlò di «unità morale del genere umano», mentre uno scritto programmatico della stessa società internazionale prevedeva di «andare oltre le filosofie, le teologie e le dottrine politico-economiche tradizionali». La studiosa sottolinea come la teoria del gender proceda di pari passo con il tentativo di far accettare culturalmente altre perversioni, in primo luogo la pedofilia.
Non l’Unesco, ma l’Onu è stata al centro dell’intervento del giurista Luca Galantini: l’uso di termini in apparenza positivi come “tolleranza”, “libertà”, “fraternità” (e lo studioso non manca di notare la sostituzione fin dai tempi della rivoluzione francese della SS. Trinità con la triade “libertéégalitéfraternité”) sono alla base dei “principi di Yogyakarta” (dal nome della località indonesiana dove nel 2006 si riunirono le maggiori organizzazioni sovranazionali impegnate nella lotta per i diritti umani) che costituiscono la “road map” per giungere al riconoscimento globale dei «diritti umani alle persone con diverso orientamento sessuale e identità di genere».
Ci sono, insomma, tutte le premesse per un nuovo totalitarismo, imposto non (ancora) dalla polizia o dall’esercito, come fa notare Matteo D’Amico nel suo intervento conclusivo, bensì attraverso la manipolazione delle coscienze (e per mezzo dei tribunali). L’attacco sessuocentrico alla civiltà cristiana (con conseguente eliminazione della vita spirituale, impensabile senza l’elogio della castità), le cui future tappe saranno l’accettazione dell’eutanasia, della pedofilia e dell’incesto, passa attraverso la legislazione, ma anche attraverso il lavaggio del cervello operato con i mezzi di comunicazione di massa e l’educazione scolastica.
Gianandrea de Antonellis

martedì 18 marzo 2014

Recensione: La teoria del gender: per l’uomo o contro l’uomo? (di Federico Catani)

In tempi come i nostri, in cui l’ideologia omosessualista imperversa, è più che mai necessario avere a disposizione validi strumenti per controbattere. Ecco perché va salutata con gioia la pubblicazione degli Atti del Convegno organizzato a Verona il 21 settembre 2013 dall’Associazione Famiglia Domani e dal Movimento Europeo per la Difesa della Vita (La teoria del gender: per l’uomo o contro l’uomo?, Solfanelli 2014, pp. 160, € 12).
Apre la serie di relazioni il prof. Roberto de Mattei, il quale ricorda il significato metafisico di natura umana, ossia l’essenza dell’uomo, immutabile e razionale. L’uomo, per natura, è sempre sessualmente determinato. Negarlo vuol dire ribellarsi alla natura stessa e a Dio. Per questo motivo «la teoria del gender è una teoria deforme e chi la sostiene erra profondamente» (p. 34).
Ad evidenziare tale errore è anche il compianto prof. Mario Palmaro. Dopo aver dimostrato che non esiste alcuna discriminazione legislativa per gli omosessuali, egli indica ai cattolici alcuni doveri di fronte alle leggi omosessualiste: rifuggire dalla dottrina del male minore, battersi perché simili normative non vengano approvate, riconoscere che sono intrinsecamente ingiuste, opporsi pubblicamente ad esse (cfr. pp. 44-45).
La dott.ssa Chiara Atzori conferma che nelle teorie del gender la sessualità «non è espressione dell’identità anche biologica, ma a prescindere da questa» (p. 71); si tratterebbe insomma di un desiderio fluido, modificabile. In ultima analisi, l’ideologia gay va contro la realtà e viene diffusa con una strategia gramsciana, tant’è che ormai la lobby omosessuale controlla i mezzi di informazione ed ha imposto la propria visione, bollando come “omofobo” chiunque si opponga ad essa.
La teoria del gender, come osserva la prof.ssa Dina Nerozzi, è promossa dagli organismi internazionali, che mirano al Nuovo Ordine Mondiale. Il processo rivoluzionario iniziato nel secondo dopoguerra vuole arrivare all’omologazione del maschile e del femminile, al gender queer, ovvero «un qualcosa che non è né maschio né femmina, il mitico androgino che ricompare periodicamente nella storia dell’umanità, l’utopia dell’essere perfetto in cui tutti i dualismi sono scomparsi. Solo allora sarà possibile ottenere il meraviglioso Nuovo Mondo» (pp. 104-105).
Del resto, che questo sia il piano lo si evince dai principi di Yogyakarta, studiati dal prof. Luca Galantini. Le raccomandazioni in materia redatte nel 2006 in Indonesia da un panel di “esperti” senza alcun mandato e autorità giuridica, hanno influenzato persino le decisioni del Consiglio d’Europa. Ma imporre leggi sul gender in questo modo, è uno sfregio alla sovranità nazionale degli Stati, al principio di uguaglianza, alla libertà religiosa e di espressione e al diritto di famiglia. Infatti, il diritto non esiste «per offrire riconoscimenti a unilaterali aspettative, pretese ed esigenze, bensì per dare risposte pubbliche ad esigenze sociali condivise, che superano la mera dimensione privata per un superiore interesse comune» (p. 121).
Tutto ciò è la prova dell’esistenza di un nuovo totalitarismo, come evidenziato dal prof. Matteo D’Amico. L’ideologia gay propone una non-civiltà, quella dei diritti a tutti i costi, che si oppone alla vera civiltà, fondata sul sacrificio (cfr. p. 131). I presunti diritti dei gay, imposti attraverso il bombardamento mediatico e la pressione psicologica, facendo credere che l’omosessualità sia normale, costituiscono il fondamento di una nuova religione secolare.
La teoria del gender è ancor più dannosa dell’aborto, perché le coppie omosessuali agiscono e si manifestano pubblicamente. Essa costituisce «l’assalto ultimo a Dio» (p. 153), ma anche alla civiltà umana e non solo cristiana. Per capirne la perversità non serve tanto la fede. Bastano la ragione e il semplice buon senso.
(Federico Catani)

sabato 1 febbraio 2014

Basta una legge per ricordare la tragedia delle Foibe e dell'Esodo degli Italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia? (di Domenico Bonvegna)

Non dobbiamo meravigliarci se è stato necessario promulgare una legge, la n.92 del 3 marzo 2004, per ricordare le vittime delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata del 1943-45. Per oltre sessant’anni c’è stato il silenzio totale su questa pagina di Storia, rotto ogni tanto, da qualche scritto locale e da qualche giornalista coraggioso che puntualmente cercava di rompere quel muro granitico che era riuscito a costruire la cosiddetta storia ufficiale. “Il ricordo delle vittime – scrive Arrigo Petacco – veniva coltivato solo in ambienti ristretti della diaspora giuliana per opera dell’Associazione Caduti senza Croce. Anche le cerimonie commemorative erano confinate nell’ambito religioso e promosse abitualmente da monsignor Antonio Santin, l’eroico vescovo di Trieste che nei duri anni della guerra aveva affrontato con identica determinazione sia i tedeschi, sia i fascisti, sia i comunisti. L’ufficialità non si era mai vista”. Oggi per la verità, c’è a disposizione  tanto materiale, anche grazie ai siti internet, dove è possibile trovare validi documenti fotografici e storici.
 Ma a dieci anni dall’istituzione della “Giornata del Ricordo”, l’analisi della vicenda della tragedia delle foibe e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati non è ancora adeguatamente affrontata e trattata, in particolare nelle scuole, è difficile trovare libri di testo delle scuole secondarie, che spieghino la tragedia. Aleggia ancora un imbarazzante silenzio intorno a questa giornata, praticamente ignorata, sia nelle scuole che fuori. Dobbiamo essere sinceri, ancora i morti delle foibe dividono le coscienze degli italiani, non si è riusciti a farli diventare memoria condivisa. Pertanto, non meraviglia il comportamento del sindaco di Roma, Ignazio Marino, e il suo vice, che se ne guardano bene dal promuovere manifestazioni per questa giornata. Anche la Rai pare che abbia fatto dietrofront su la rappresentazione, “Magazzino 18” di Simone Cristicchi. Mentre non è un caso che a pochi giorni dal 10 febbraio, si organizzi a Monza un convegno dove si invita a parlare Alessandra Kersevan, nota revisionista, che minimizza l’entità, storicamente riconosciuta, dei massacri patiti dal popolo italiano e nega la persecuzione titina.
 La Kersevan ha infatti più volte dichiarato che “commemorare i morti delle foibe significa ricordare rastrellatori fascisti e collaborazionisti nazisti”. Non quindi persone barbaramente assassinate solo perché italiane. O costrette, da un terrore senza pari, ad abbandonare la propria terra, in molti casi per sempre. Un'assimilazione, quella di esuli e infoibati con il fascismo, recentemente disconosciuta anche dal coordinatore veneto dell'Anpi, che ha pubblicamente ammesso “gli errori della facile equazione profugo istriano – fascista e della simpatia per i partigiani slavi, che non fece vedere il vero volto dittatoriale di Tito”.
 Certo l’idea chegli infoibamenti siano conseguenza degli eventuali soprusi perpetrati dalle forze militari fasciste e dai campi di prigionia di civili slavi in Italia, è una tesi che emerge in alcuni studiosi come Gianni Oliva e in parte anche di Raul Pupo.
 A questo proposito risponde Giorgio Rustia, presidente dell’Associazione Nazionale Congiunti dei Deportati italiani uccisi o scomparsi in Jugoslavia, intervistato da Rossana Mondoni. Intervista pubblicata nel libro, “Italia, confine orientale e foibe”, a cura dell’Aespi, edito da Solfanelli (Chieti, 2012). Rustia, che ha collaborato in inchieste su questi tragici fatti, con l’Autorità inquirente e con l’Arma dei Carabinieri, precisa che non vuole essere definito storico, ma preferisce quella di “persona informata sui fatti”. Dalla sua esperienza di ricerca ultra ventennale, è convinto che “La giornata del Ricordo”, certamente ha dato una certa consolazione ai parenti di chi è stato barbaramente ucciso in quegli anni, “ma ha dato anche il via ad una contro speculazione politica da parte di tutti gli attuali eredi del P.C.I.,comunque dispersi nel panorama politico, i quali hanno iniziato a giustificare le stragi criminalizzando le vittime. Ed in questa sporca operazione, la storiografia accademica o di divulgazione ha primeggiato”. Rustia, è convinto che subito dopo, l’istituzione della giornata, inizia un’operazione di contro informazione, condotta su giornali, reti televisive e soprattutto su libri di “divulgazione” storica, “nella quale non si negavano più i fatti mostruosi commessi dai comunisti italiani e slavi non più smentibili, ma li si inquadravano nel ‘loro’ contesto storico, non per giustificarli ma per favorire la loro comprensione”. E qui Rustia, cita espressamente i testi di Oliva e Pupo.
 In particolare quello di Oliva, “Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell’Istria”. In pratica Oliva, esponente di spicco del PCI piemontese, utilizza per le sue ricerche, “tutta l’immondizia scritta dalla propaganda dei comunisti jugoslavi nell’immediato dopoguerra, e rilanciata dagli ‘storici’ della sinistra italiana”. In pratica per Oliva, i crimini commessi dalle forze titine in Venezia Giulia, non furono la conseguenza dell’espansionismo jugoslavo,“ma del cosiddetto ‘fascismo di confine’ con i suoi asseriti crimini perpetrati ai danni delle popolazioni slave dal 1920 al 1943”. Poi, pare che Oliva, abbia inventato oltre misura i campi di concentramento in Italia per slavi e croati. Mentre il professore Pupo sembra preferire la tattica del silenzio in merito alla scomparsa degli italiani. Tuttavia per quanto riguarda quest’ultimo storico, sto finendo di leggere il suo, “Il lungo esodo. Istria:le persecuzioni, le foibe, l’esilio”, edito da Rizzoli (2005), mi sembra che la sua opera di ricerca non sia poi tanto “antistorica”, lui preferisce parlare dell’esodo dei 350 mila italiani, “dipanare uno dei nodi più aggrovigliati di quella storia di frontiera”. Il suo metodo è quello di ricostruire “le dinamiche dell’esodo e la riflessione sulle sue motivazioni“, per inserirli in un “ragionamento più generale riguardante gli spostamenti di popolazione avvenuti al confine orientale d’Italia nei due dopoguerra”.
 Certo il Pupo descrive la “colonizzazione” del regime fascista dei territori istriani e dalmati, attraverso quella campagna di italianizzazione a cominciare dai cognomi. Però fa capire che questa colonizzazione fu abbastanza grottesca velleitaria. Mentre di tutt’altro  spessore fu quella attuata dal regime comunista di Tito, che ha cancellato totalmente ogni traccia di italianità.
 Ma di questo parleremo al prossimo appuntamento, utilizzando l’ottimo testo, “L’Esodo” di Arrigo Petacco.


Rozzano 1 febbraio 2014                  
                       
DOMENICO BONVEGNA

lunedì 20 gennaio 2014

Novità: LA TEORIA DEL GENDER: PER L'UOMO O CONTRO L'UOMO?

Famiglia Domani - MEVD
LA TEORIA DEL GENDER:
PER L'UOMO O CONTRO L'UOMO?

Atti del Convegno
Verona, 21 settembre 2013




Presentazione del Presidente dell’Associazione Famiglia Domani
Luigi Coda Nunziante
Presentazione del Presidente del Movimento Europeo per la Difesa della Vita e della Dignità Umana
Alberto Zelger

Intervento del Sindaco di Verona
Flavio Tosi

Intervento del Vescovo di Verona
Sua Eccellenza Monsignor Giuseppe Zenti


Roberto de Mattei
I cattolici davanti alla teoria del gender

Mario Palmaro
La teoria del gender tra diritto naturale e diritto positivo

Chiara Atzori
Genere o gender? Una lettura scientifica

Dina Nerozzi
Rivoluzione di Genere: Inizio, decorso e prospettive

Luca Galantini
I nuovi diritti umani secondo l’ONU: un’aggressione alla società naturale

Matteo D’Amico
Ideologia del gender e omosessualismo: verso un nuovo totalitarismo


Famiglia Domani - MEVD
LA TEORIA DEL GENDER:
PER L'UOMO O CONTRO L'UOMO?
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-848-9]
Pagg. 160 - € 12,00

http://www.edizionisolfanelli.it/lateoriadelgender.htm