sabato 1 febbraio 2014

Basta una legge per ricordare la tragedia delle Foibe e dell'Esodo degli Italiani d'Istria, Dalmazia e Venezia Giulia? (di Domenico Bonvegna)

Non dobbiamo meravigliarci se è stato necessario promulgare una legge, la n.92 del 3 marzo 2004, per ricordare le vittime delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata del 1943-45. Per oltre sessant’anni c’è stato il silenzio totale su questa pagina di Storia, rotto ogni tanto, da qualche scritto locale e da qualche giornalista coraggioso che puntualmente cercava di rompere quel muro granitico che era riuscito a costruire la cosiddetta storia ufficiale. “Il ricordo delle vittime – scrive Arrigo Petacco – veniva coltivato solo in ambienti ristretti della diaspora giuliana per opera dell’Associazione Caduti senza Croce. Anche le cerimonie commemorative erano confinate nell’ambito religioso e promosse abitualmente da monsignor Antonio Santin, l’eroico vescovo di Trieste che nei duri anni della guerra aveva affrontato con identica determinazione sia i tedeschi, sia i fascisti, sia i comunisti. L’ufficialità non si era mai vista”. Oggi per la verità, c’è a disposizione  tanto materiale, anche grazie ai siti internet, dove è possibile trovare validi documenti fotografici e storici.
 Ma a dieci anni dall’istituzione della “Giornata del Ricordo”, l’analisi della vicenda della tragedia delle foibe e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati non è ancora adeguatamente affrontata e trattata, in particolare nelle scuole, è difficile trovare libri di testo delle scuole secondarie, che spieghino la tragedia. Aleggia ancora un imbarazzante silenzio intorno a questa giornata, praticamente ignorata, sia nelle scuole che fuori. Dobbiamo essere sinceri, ancora i morti delle foibe dividono le coscienze degli italiani, non si è riusciti a farli diventare memoria condivisa. Pertanto, non meraviglia il comportamento del sindaco di Roma, Ignazio Marino, e il suo vice, che se ne guardano bene dal promuovere manifestazioni per questa giornata. Anche la Rai pare che abbia fatto dietrofront su la rappresentazione, “Magazzino 18” di Simone Cristicchi. Mentre non è un caso che a pochi giorni dal 10 febbraio, si organizzi a Monza un convegno dove si invita a parlare Alessandra Kersevan, nota revisionista, che minimizza l’entità, storicamente riconosciuta, dei massacri patiti dal popolo italiano e nega la persecuzione titina.
 La Kersevan ha infatti più volte dichiarato che “commemorare i morti delle foibe significa ricordare rastrellatori fascisti e collaborazionisti nazisti”. Non quindi persone barbaramente assassinate solo perché italiane. O costrette, da un terrore senza pari, ad abbandonare la propria terra, in molti casi per sempre. Un'assimilazione, quella di esuli e infoibati con il fascismo, recentemente disconosciuta anche dal coordinatore veneto dell'Anpi, che ha pubblicamente ammesso “gli errori della facile equazione profugo istriano – fascista e della simpatia per i partigiani slavi, che non fece vedere il vero volto dittatoriale di Tito”.
 Certo l’idea chegli infoibamenti siano conseguenza degli eventuali soprusi perpetrati dalle forze militari fasciste e dai campi di prigionia di civili slavi in Italia, è una tesi che emerge in alcuni studiosi come Gianni Oliva e in parte anche di Raul Pupo.
 A questo proposito risponde Giorgio Rustia, presidente dell’Associazione Nazionale Congiunti dei Deportati italiani uccisi o scomparsi in Jugoslavia, intervistato da Rossana Mondoni. Intervista pubblicata nel libro, “Italia, confine orientale e foibe”, a cura dell’Aespi, edito da Solfanelli (Chieti, 2012). Rustia, che ha collaborato in inchieste su questi tragici fatti, con l’Autorità inquirente e con l’Arma dei Carabinieri, precisa che non vuole essere definito storico, ma preferisce quella di “persona informata sui fatti”. Dalla sua esperienza di ricerca ultra ventennale, è convinto che “La giornata del Ricordo”, certamente ha dato una certa consolazione ai parenti di chi è stato barbaramente ucciso in quegli anni, “ma ha dato anche il via ad una contro speculazione politica da parte di tutti gli attuali eredi del P.C.I.,comunque dispersi nel panorama politico, i quali hanno iniziato a giustificare le stragi criminalizzando le vittime. Ed in questa sporca operazione, la storiografia accademica o di divulgazione ha primeggiato”. Rustia, è convinto che subito dopo, l’istituzione della giornata, inizia un’operazione di contro informazione, condotta su giornali, reti televisive e soprattutto su libri di “divulgazione” storica, “nella quale non si negavano più i fatti mostruosi commessi dai comunisti italiani e slavi non più smentibili, ma li si inquadravano nel ‘loro’ contesto storico, non per giustificarli ma per favorire la loro comprensione”. E qui Rustia, cita espressamente i testi di Oliva e Pupo.
 In particolare quello di Oliva, “Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell’Istria”. In pratica Oliva, esponente di spicco del PCI piemontese, utilizza per le sue ricerche, “tutta l’immondizia scritta dalla propaganda dei comunisti jugoslavi nell’immediato dopoguerra, e rilanciata dagli ‘storici’ della sinistra italiana”. In pratica per Oliva, i crimini commessi dalle forze titine in Venezia Giulia, non furono la conseguenza dell’espansionismo jugoslavo,“ma del cosiddetto ‘fascismo di confine’ con i suoi asseriti crimini perpetrati ai danni delle popolazioni slave dal 1920 al 1943”. Poi, pare che Oliva, abbia inventato oltre misura i campi di concentramento in Italia per slavi e croati. Mentre il professore Pupo sembra preferire la tattica del silenzio in merito alla scomparsa degli italiani. Tuttavia per quanto riguarda quest’ultimo storico, sto finendo di leggere il suo, “Il lungo esodo. Istria:le persecuzioni, le foibe, l’esilio”, edito da Rizzoli (2005), mi sembra che la sua opera di ricerca non sia poi tanto “antistorica”, lui preferisce parlare dell’esodo dei 350 mila italiani, “dipanare uno dei nodi più aggrovigliati di quella storia di frontiera”. Il suo metodo è quello di ricostruire “le dinamiche dell’esodo e la riflessione sulle sue motivazioni“, per inserirli in un “ragionamento più generale riguardante gli spostamenti di popolazione avvenuti al confine orientale d’Italia nei due dopoguerra”.
 Certo il Pupo descrive la “colonizzazione” del regime fascista dei territori istriani e dalmati, attraverso quella campagna di italianizzazione a cominciare dai cognomi. Però fa capire che questa colonizzazione fu abbastanza grottesca velleitaria. Mentre di tutt’altro  spessore fu quella attuata dal regime comunista di Tito, che ha cancellato totalmente ogni traccia di italianità.
 Ma di questo parleremo al prossimo appuntamento, utilizzando l’ottimo testo, “L’Esodo” di Arrigo Petacco.


Rozzano 1 febbraio 2014                  
                       
DOMENICO BONVEGNA

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